Stratocaster American Vintage '56: prova e confronto con quella vera
di alberto biraghi [user #3] - pubblicato il 21 dicembre 2012 ore 08:00
Faccio una dichiarazione a priori e a scanso equivoci: questa Stratocaster American Vintage '56 in assoluto è una buona chitarra, da tutti i punti di vista. Il suono è quello che ti aspetti da una Stratocaster. Tutto secondo copione, tutto bene, dunque? Ecco, secondo me, proprio tutto-tutto no.
La serie Fender Vintage nasce nel 1982 per tentare di frenare un declino che sembrava inarrestabile. Pressata da una concorrenza sempre più agguerrita, snobbata dai musicisti disposti a pagare le chitarre vecchie dieci o venti volte rispetto a quelle nuove, incapace di innovare ciò che tutti consideravano perfetto (la produzione originale di Leo Fender) Fender CBS decide finalmente di ritornare sui propri passi, riscoprendo un passato messo da parte senza una sola buona ragione. Nasce la serie Vintage, che propone chitarre disegnate sulla falsariga delle pre-CBS. Strumenti validi, ma, per dichiarazione dell'azienda stessa, le cui differenze rispetto agli originali sono notevoli. Per non rischiare contraffazioni e per modernità, sostiene l'azienda, ma i maligni pensano che Fullerton non fosse in grado di proporre nulla di più fedele. Addirittura la pre-serie giapponese del 1981 è più kosher - nei suoni e nelle forme - alle pre-CBS rispetto alla serie americana.
I nove modelli Vintage presentati nel 1982 sul più bel catalogo della storia Fender (Telecaster '52, Stratocaster '57 e '62, Precision '57 e '62, Jazz '62) sopravvivono alla fine dell'epoca CBS e aprono l'epoca Schulz a Corona. Resteranno in catalogo per ben trent'anni, fino a pochi mesi fa, quando viene presentata la nuova serie American Vintage. A leggere il comunicato stampa di lancio ci si aspetta la rivoluzione:
"Rather than just replacing the previous models with different ones, the entire vintage-reissue concept has been completely and comprehensively re-imagined - restoring original tooling dies, voicing new pickups, reformulating vintage colors and more - based on actual vintage guitars designers tracked down to ensure even greater accuracy. All the new American Vintage Series guitars feature thick and slim necks with profiles and edges carefully re-sculpted to reflect even greater period-correct authenticity".
Nelle promesse ecco forme più accurate, pickup più fedeli, attrezzature modellate sulla falsariga di quelle originali di Fullerton, per produrre strumenti quanto più vicini, per feel e sonorità, alle celebrate pre-CBS. Con simili premesso, da appassionato delle Fender di Fullerton, non vedevo l'ora di provarle e finalmente eccomi esaudito, grazie alla disponibilità di Mauro De Nadai di Lucky Music. Mi trovo dunque tra le mani una splendida custodia tweed che contiene una Fender American Vintage '56, in "black custom color", in linea teorica quanto di più simile dovrebbe esistere al meglio della produzione dell'altro secolo. Avendo a portata di mano un esemplare originale del 1956 non c'è che da fare il confronto. Aprendo la custodia l'impressione è positiva. Il nero spicca sul rosso dell'imbottitura della custodia, il manico in acero è del colore giusto (non giallastro finto-vecchio come in molte Vintage '57 della serie precedente) e l'hardware lucido quanto basta, non troppo, più nickel che inox. Bene. Così la tiro su, la imbraccio e me la strimpello nel vecchio De Luxe.
A questo punto faccio una dichiarazione a priori e a scanso equivoci: questa Stratocaster American Vintage '56 in assoluto è una buona chitarra, da tutti i punti di vista. Manico dritto, action ben regolata, pot scorrevoli e precisi, single coil ben regolati in altezza, simil-Kluson efficienti quanto basta. Il suono è quello che ti aspetti da una Stratocaster, in questo caso particolarmente delicato perché i pickup sono volutamente debolini, inferiori a 6k. Tutto secondo copione, tutto bene, dunque? Ecco, secondo me, proprio tutto-tutto no.
Come alcuni sanno, sostengo che la magia delle chitarre vecchie sta non tanto in un suono oggettivamente diverso, ma in un insieme di caratteristiche che portano il musicista che ci si trova in sintonia a suonare meglio. Le tecnologie moderne - analogiche e digitali - consentono di riprodurre qualunque suono. Ma il feel dello strumento, la sensazione che dà quando lo imbracci, quello no, non è riproducibile. E infatti in questa American Vintage non ce la ritrovi, quella magia che una vecchia Fender porta con sé, anche avendo ben presente che oltre mezzo secolo di invecchiamento è un valore incommensurabile.
La vernice innanzitutto. Che sarà pure nitro, ma è spessa e fredda al tatto. Poi il manico, che alla deliziosa V degli anni '50 sostituisce uno strano profilo "boat", inutilmente massiccio. Un manico veramente poco sensato, né carne né pesce, del tutto improbabile sulle chitarre degli anni 56-57 di cui questa American Vintage dovrebbe essere un clone. Il peso, oltre mezz'etto in più rispetto all'originale, che coi suoi 3.400 grammi non è delle più leggere. Finalmente il corpo, il cui "contour" tozzo dista anni luce dalle linee sinuose dello strumento d'epoca. Da ultimi i pickup, la cui sonorità - per chi suona a parità di amplificatore - è più fredda, ghiacciata. Certo, la differenza da fuori è sottile, si percepisce sulla pennata (appena le tecnologie ci consentiranno di portare nelle vostre case anche il tatto - oltre a immagini e suoni - prometto che vi faremo toccare con mano l'enorme differenza di carattere tra i due strumenti).
E perplessità sul prezzo. Con i suoi (circa) 2.800 dollari di listino in USA e uno street price in Italia di (circa) 2.000 euro da Lucky Music (negozio che notoriamente applica prezzi tra i più bassi del mercato, non solo italiano), la Stratocaster American Vintage si colloca in una fascia di prezzo elevata, con ben (circa) 700 euro in più rispetto a una American Standard e soli (circa) 800 euro in meno rispetto a una ben più titolata Relic, destinata a mantenere una quotazione più alta nel tempo. Va infine detto che con gli stessi denari un appassionato potrebbe decidere di portarsi a casa un a Strat, una Tele e un basso messicani, strumenti economici nel prezzo, ma non nelle prestazioni. Per non dire dell'abbondante usato Custom Shop, che spesso circola sotto i 2.000 euro.
Ecco, ho detto tutto. Se vi capita di provarne una ci terrei a sentire la vostra opinione. Intanto ve la faccio sentire - suonata da Pietro, che aggiunge di seguito le sue impressioni - confrontandola con la mia vecchia Stratocaster del 1956 cui la nuova Vintage dovrebbe ispirarsi.
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Provare una Stratocaster, se non forse acquistarne una, è una tappa obbligatoria per qualunque chitarrista. Tutti, per gusto o per curiosità, l'hanno imbracciata almeno una nella vita, tutti sanno come suona la doublecut di Fullerton, ma sono molti di meno a sapere com'è suonarne una con mezzo secolo sulle spalle. Fender questo lo sa e, se lo volesse, potrebbe marciarci alla grande. I chitarristi invece (forse) non lo sanno e, senza una Stratocaster del 1956 originale sotto mano con cui fare un confronto al volo, devono fidarsi di ciò che offre la serie American Vintage. Quando la sete di pre-CBS si fa forte ma il portafogli non collabora, l'idea di acquistare una riedizione diventa allettante: dopo anni di studi e grazie a macchinari tecnologicamente avanzati, riprodurre una chitarra d'epoca dovrebbe essere uno scherzo, per l'azienda che l'ha creata a suo tempo. No? Forse.
Incuriosito dal restyling completo a cui Fender ha sottoposto la sua linea di chitarre reissue, in catalogo col nome di American Vintage, non perdo l'occasione di provarne una quando Cristiano Ceruti del Centro Chitarre me la sventola sotto il naso. È una Stratocaster modello '56. Sunburst a due toni, tastiera in acero, 21 tasti, ponte stile vintage, trussrod con accesso alla base del manico. Il peso perfettamente nella media e la comodità delle forme sulla pancia fanno passare in secondo piano il primo impatto poco convincente dato dalla finitura, sì alla nitro, ma decisamente troppo gloss in confronto a quelle che un comune mortale si limita ad annusare alle esposizioni di vintage. Sottile e per niente "appiccicosa", invece, è la verniciatura del manico, comodo seppur grandicello per i miei gusti e in relazione alle aspettative. La tastiera si lascia comunque suonare e i pickup restituiscono finalmente quella dinamica che sembrava andata persa in alcuni modelli di recente produzione. Viene voglia di giocare col volume alternando pennata e dita nude, strappando le corde come si fa con una signora che regala tanto timbro e poco sustain, come una Strat dev'essere. Il pickup al manico non è mai eccessivamente caldo, con un attacco pronunciato e una punta brillante. Quello al ponte è più spinto, porta il suono appena oltre il punto di break-up, è decisamente reattivo alla pennata e, rarità per la categoria, per nulla freddo. Ingolosito dalle tante letture sull'argomento, mi porto velocemente alla ricerca del selettore a tre scatti, sperando di riuscire a incastrare la levetta nel punto giusto per avere "quei" suoni. "Oggi le posizioni due e quattro saranno pure scontate, ma cercarle così ha un gusto tutto diverso", mi scopro a pensare mentre la mano si appropinqua al controllo, ma devo rimangiarmi tutto quando realizzo che lo switch ha ben cinque posizioni. La macchina del tempo che ha riportato questa Stratocaster dal 1956 deve aver fatto una fermata extra lungo il tragitto, perché le due posizioni addizionali erano ben lungi dall'essere uno standard di fabbrica all'epoca. Poco male, è evidente che i progettisti hanno voluto dare un tocco di modernità e versatilità laddove l'occhio non avrebbe sofferto. La delusione momentanea non mi fa venire in mente di chiedere a Cristiano se Fender avesse previsto un selettore di ricambio a tre posizioni, come talvolta accade con riedizioni del genere.
Terminata la prova, lunga e decisamente soddisfacente data la qualità oggettiva della chitarra, non mi abbandona una punta d'amarezza che, memore del manico e del selettore storicamente scorretti, mi porta a rimuginare su quali altri dettagli non siano fedeli al modello di riferimento, ma sono sfuggiti al povero occhio inesperto di un amante che non ha mai avuto la fortuna di imbracciare una vera figlia di Leo Fender. (Pietro Paolo Falco)