Guthrie Govan: faccio cantare la chitarra al posto mio
di redazione [user #116] - pubblicato il 19 febbraio 2014 ore 07:00
E' partito il conto alla rovescia per il nuovo tour italiano degli Aristocrats. Nell'attesa, un'esclusiva chiacchierata con Govan che ci spiega l'armonia su cui poggia il momento magico di questo trio, soddisfa il nostro feticismo descrivendoci la sua strumentazione e ci spiega perchè non lo sentiremo mai cantare.
Gli Aristocrats hanno il merito di aver risvegliato l'interesse per il jazz rock, genere che sembrava defunto. Siete un trio giovane, che riempie locali e teatri in giro per il mondo, entusiasmando un pubblico altrettanto giovane con musica strumentale...
Grazie, è un bell’apprezzamento.
Siamo ovviamente entusiasti che ci sia così tanta gente che viene ai nostri concerti e che si mostra così entusiasta di quello che stiamo facendo. Allo stesso tempo, sono un po’ diffidente dal cercare di analizzare troppo seriamente il responso del pubblico. Noi facciamo semplicemente quello che facciamo. Nella speranza che la gente che ci apprezza, capisca da dove veniamo musicalmente e si appassioni a quel genere di musica.
La cosa che stiamo cercando di fare è riuscire a far percepire al pubblico quanto ci divertiamo a suonare tra di noi. Ognuno di noi tre prende la musica davvero sul serio, nel senso che cerca di metterci il massimo dell’impegno e di suonare al meglio delle proprie capacità! Viceversa poi, siamo noi tre a non prenderci troppo sul serio. E questo mix tra la serietà con cui suoniamo e la nostra autoironia sembra funzionare alla grande!
Che novità dobbiamo aspettarci rispetto allo scorso tour?
Senz’altro la gente resterà stupita da quanto sono migliorate le performance vocali dei polli e maiali di plastica! Sono dannatamente migliorati da quando sono entrati nella band! (E’ tradizione degli Aristocrats inscenare durante gli show irresistibili siparietti musicali con animaletti di gomma parlanti che i tre strizzano al microfono. N.d.R.)
Scherzi a parte, suoneremo moltissime cose dal nuovo album perché siamo troppo contenti di come questi pezzi ci riescono dal vivo.
Quando abbiamo inciso il nostro primo ci eravamo appena conosciuti.
Con il secondo album “Culture Clash”, avevamo un’idea decisamente migliore di come scrivere per metterci l’un l’altro nella condizione di dare il massimo.
Abbiamo fatto un sacco di tour e concerti da quando siamo partiti; il risultato di aver macinato così tanto palcoscenico assieme è che ora la nostra identità musicale, come trio, è diventata assolutamente definita e caratteristica!
Sia tu che Marco avete uno spiccato senso dell'umorismo. Avete mai pensato di scrivere dei testi e cantare?
In realtà io mi diverto troppo con la libertà della musica strumentale. La musica strumentale è un tipo di linguaggio universale che funziona e si fa capire bene, e allo stesso modo, in ogni parte del mondo.
Poi, ti confesso che onestamente credo sia un bene per tutti che non si canti: parlo ovviamente per me. Di sicuro non credo che il mondo abbia bisogno di sentirmi cantare! Del resto, proprio per questo, il mio rapporto con la chitarra è sempre stato cercare di fare cantare lei al mio posto!
Fai contenti noi nerd: descrivici nel dettaglio la strumentazione che hai assemblato per questi concerti.
Per questo tour mi sto spupazzando due chitarre Charvel. Sono prototipi del mio prossimo modello signature. Entrambe hanno il corpo in tiglio, manico in acero con un rinforzo in graffite. Come ponte ci ho fatto mettere l’originale “non –fine-tuner” Floyd Rose che non ha il blocca corde alla fine della tastiera e nemmeno la possibilità della regolazione dell’accordatura dal ponte. Non mi sono mai piaciuti questi accorgimenti! Viceversa mi piace la grande tenuta dell’accordatura che si ha bloccando le corde alla fine del ponte! Una di queste due chitarre ha il top in acero Birdseye mentre l'altra in acero fiammato: suonano molto diverse anche se, ad essere onesti, è difficile dire con certezza quanto i diversi tipi di top in acero influiscano sul suono: dopo tutto, ogni albero è unico e quindi ci sono molti fattori che contribuiscono.
Novità in fatto di amplificatori: sto usando una testata da 50 watt abbinata a una cassa 2x12 di una nuova ditta inglese chiamata Victory: il designer si chiama Martin Kidd; precedente è stato il responsabile di amplificatori come il Conford MK50. In effetti ci sono certe affinità con quell’ampli, ma posso dire che questo Victory suona in qualche maniera più morbido del Conford.
Ha due canali e mezzo nel senso che ha un clan e un’overdrive ma su ciascuno c’è la possibilità di aggiungerci un ulteriore boost. Così posso usare la sola testata per overdrive e distorsioni, senza alcun bisogno di pedali ulteriori.
Se qualcuno mi ha visto dal vivo con Steven Wilson lo scorso anno ha già ammirato questo nuovo ampli. Quello però era il modello da 100 watt. Per gli Aristocrats invece il modello da 50 Watt è più che sufficiente.
Anche per la pedaliera, rispetto al tour con Steven Wilson, cambiano sostanzialmente le dimensioni. Con lui vado in giro con una cosa mostruosa, gigantesca, con due ripiani di pedali. Molte canzoni richiedono sfumature di suono davvero articolate e mi serve un sacco di roba. Per gli Aristocrats ho copiato lo stesso format di pedaliera, ma in miniatura: c’è un
Dunlop wah e pedale del volume; un chorus della Providence, un TC Electronic Flashback 4x delay e il mio piccolo Guyatone envelope filter.