Si aprono i cancelli e i primi spettatori cominciano a riversarsi in fretta verso il fronte palco per potersi godere lo show; al Live Forum di Milano il palco è molto basso e gli spettatori meno solerti nel guadagnarsi le prime postazioni seguiranno il concerto in maniera più scomoda.
Ad aprire la serata ci sono i “Power of the Night”, band sorpresa e a sorpresa della serata: nessuno sapeva niente di loro prima dell'esibizione. Scopriamo poi che il gruppo si è formato ad hoc per suonare in questa situazione ed esiste quindi da pochissimo tempo.
Capitanati da Ralph Salati alla chitarra e Federico Paulovich alla batteria (entrambi membri dei Destrage) i Power of The Night sono un quartetto strumentale completato da Alberto Locci al basso e Mattia Dambrosio alla chitarra.
Propongono una setlist composta da cover tra le quali un'insolita ma piacevole “Lunedì Cinema” di Dalla e una “Innocence Faded” dei Dream Theater magistralmente eseguita. I ragazzi sanno il fatto loro: una sezione ritmica martellante e due solisti giovani e in gamba.
Dopo venti minuti di set è la volta dei Dolcetti, spalla ufficiale del tour italiano degli Aristocrats. Invitati a partecipare dallo stesso trio, promuovono le prime anticipazioni dal loro nuovo, imminente disco. Partono con una veloce e divertente introduzione: un remix che alterna R&B, elettronica e funky metal costruito sul tormentone del web “Ho pagato e nun me fanno entrà”. Da qui Gianni Rojatti e Erik Tulissio partono con il loro suono martelloso e zeppo di atmosfere elettroniche, ai limiti della techno.
I Dolcetti sanno benissimo come coinvolgere gli spettatori presenti grazie alla maestria con la quale gestiscono tempi composti, sezioni ritmiche spezzate e digressioni solistiche di chitarra degne dei più grandi shredder. Con Enrico Sesselego al mixer (Paul Gilbert, Steve Vai) i suoni del duo sono davvero pieni e grintosi. Cosa che stupisce vista la strumentazione essenziale: Gianni non usa amplificatori e suona in diretta con uno Zoom G3. I brani si fanno apprezzare e fanno divertire il pubblico, vista anche la disinvoltura con la quale il frontman Rojatti tiene il palco…e le tastiere! Colpisce il passaggio tra brani come “Tribale”, tratta dal precedente disco “Metallo Beat”, e il nuovo “Idea F”, brani che catapultano i presenti da sezioni metal parecchio incavolate, assolo veloci e ben costruiti, sintetizzatori anni '80, a parti più distese, melodiche e quasi psichedeliche.
I Dolcetti chiudono la serata con “Tremors”, definito il loro cavallo di battaglia, che ancora una volta ci tiene sospesi tra varie dimensioni musicali ed evidenzia le ottime capacità tecniche dei due. Erik Tulissio gestisce stacchi, stop e fill veloci che corrono seguendo molto spesso di pari passo la scia dei soli di chitarra. I Dolcetti conquistano con l'inusualità del loro prodotto creativo, la loro intesa musicale e la coesione straordinaria con la quale scorrazzano tra i generi. Ma il valore aggiunto è vederli divertirsi come come pazzi sul palco, facendo a loro volta divertire. Hanno fatto una figurona davanti ad un pubblico importante come quello del Live Forum.
Alle 22 è la volta dei tanto attesi Aristocrats. Il primo a salire sul palco è Guthrie Govan, accolto da un’ovazione del pubblico al quale l'inglese risponde con delle smorfie che stanno a dire “ma se non ho fatto ancora niente..”. Senza parlare si lanciano in una “Furtive Jack” che ci lascia subito a bocca spalancata nel vedere come i tre siano perfettamente a loro agio nel gestire dinamiche, passaggi intricati e nello sfoggiare le capacità tecniche incredibili che li hanno resi famosi già da anni, confermandoli come alcuni dei musicisti più richiesti della scena musicale internazionale.
Dopo il primo brano, gli Aristocrats si prendono un momento per introdurre la band e si riparte con la pesantissima “Sweaty Knockers”: anche per questo brano i suoni sono perfetti, l'esecuzione è impeccabile e, come nel precedente e nei brani a seguire, si prendono anche degli spazi per improvvisare e stravolgere delle sezioni per dare ad ogni brano un tocco di personalità in più.
I tre tengono il palco con grinta e raccontano, prima di iniziare ogni brano, la storia che sta dietro ad ogni singola composizione, che sia riferita ad un evento accaduto realmente ad uno dei tre o un concetto sul quale andava la pena comporre una canzone, riuscendo ad interagire perfettamente con il pubblico e a far ridere di gusto i presenti.
Si riparte con una groovosa “Ohhhh Noooo”, con una sezione in tempo 15/16 eseguita alla perfezione e una sezione che richiama sonorità pinkfloydiane. Quindi “Louisville Stomp”, ottima fusione di jazz, bebop e rockabilly, veloce, divertente e coinvolgente allo stesso tempo. La seguente “Get It Like That” è la massima essenza padronanza con la quale gli Aristocrats guidano il proprio strumento, con un'esilarante parentesi nella quale il trio si diletta con un'improvvisazione eseguita spremendo pupazzetti di plastica, più precisamente due maialini e un pollo. Si procede con la title track del nuovo disco, “Culture Clash” che con tempi composti e scomposizioni ritmiche, affrontate con una musicalità ed una rilassatezza impressionanti, si fa apprezzare dai presenti; impressionano anche la successiva “Flatlands”, molto distesa e melodica e “Blues Fuckers” che incalza con una velocità e un'irregolarità disarmanti, con i tre che si divertono a giocare con attacchi improvvisi,e nella quale Marco Minneman ci delizia con un drum solo da leccarsi i baffi.
Si riprende fiato con “Gaping Head Wound” e “Desert Tornado” e chiude la setlist della serata “Living The Dream”, brano molto hard e dal ritornello tipicamente shred anni '80, scritto dal bassista Bryan Beller, musicista che ci stende con un range di suoni molto vario, un playing gonfio ma sempre definito e una precisione e una morbidezza da fuoriclasse. Si riapre un piccolo sipario con un bis nel quale il trio esegue il brano “Erotic Cakes”, tratto dal disco solista di Guthrie Govan, per poi lasciare il palco sotto uno scroscio di applausi di persone entusiaste di aver assistito ad una performance incredibile e impeccabile.
Due ore di concerto e non ce le sentiamo sulle spalle: sono volate grazie all'assoluta capacità di ogni membro della band di improvvisare, di intrattenere e di sbalordire con un talento quasi sovrannaturale.
Guthrie Govan è uno dei migliori chitarristi in circolazione per versatilità e tecnica; ha gestito assolo pazzeschi senza mai ripetere un fraseggio o un pattern uguale per tutta la durata del concerto, con una disinvoltura disarmante. Marco Minneman ha dato il meglio di se, con energia e inventiva mostrando un'intesa di cemento armato nel suonare con gli altri due musicisti. Bryan Beller, è un bassista granitico, frontman e leader degli Aristocrats prezioso nel suo ruolo di collante tra Guthrie e Marco. Il migliori power trio in circolazione, tre dei migliori musicisti al mondo. Che spettacolo!