Redazione: Cominciamo parlando della produzione del disco. Mi hai raccontato di esserti occupato di gran parte della produzione e che poi c’è comunque stato un intervento esterno. Quanto è cambiato nel sound delle chitarre che hai registrato tra la pre-produzione e il prodotto finito? Ti ritrovi nel sound? Giuseppe Scarpato: Il lavoro di arrangiamento e pre-produzione dell'album Pronti a salpare è cominciato circa quattro anni fa, quando Edoardo ha cominciato a scrivere un bel po' di nuove canzoni.
Per tutti i brani si è partiti da una bozza di stesura con chitarra e voce (Whatsapp audio, mp3 e roba simile) poi io ci ho lavorato da solo nel mio studio a Firenze dove ho scritto e registrato le parti di chitarre, batterie, bassi, groove e programmazioni. Nella fase successiva, insieme al nostro tastierista Raffaele Lopez, abbiamo completato il lavoro di arrangiamento a Napoli.
Negli ultimi mesi Universal Music Italia si è interessata al disco, ha firmato un contratto con Edoardo e ha incaricato Brando di produrre il disco. Alla fine il 90% circa del lavoro di arrangiamento fatto in pre-produzione è rimasto, sono stati rifatti le batterie e i bassi per avere un suono migliore, ma in definitiva sono molto soddisfatto del risultato finale, anche grazie al lavoro di mixing svolto egregiamente da Stefano Giungato.
R: Le chitarre a nostro avviso sono un po’ il fiore all’occhiello di questo album. C’è un’amalgama perfetta tra elettriche e acustiche. Che strumenti hai utilizzato? GS: Ho usato tantissimo le mie Gibson (da circa un anno sono endorser Gibson per l'Italia). Per le acustiche ho registrato quasi tutto con due J45 e una J185, sempre microfonate. Le elettriche principali sono state la mia LP Gold Top '57 VOS, una LP '59 VOS, una LP 100 2015, una bellissima 335 Rusty Anderson comprata due anni fa (una 335 sopra la media, davvero eccezionale) e una PRS McCarty del 1998.
Per i suoni single coil ho usato la mia Schecter Giuseppe Scarpato Signature (una sorta di super Telecaster) e due Stratocaster (una Fender Anniversary 1957/2007 con tastiera in acero e una Schecter del Custom Shop con tastiera in palissandro del 1999).
R: Come hai gestito il contrasto tra elettriche e acustiche? Era una scelta voluta quella di combinare questi due strumenti, oppure è stata una scelta della produzione sulla quale tu hai poi lavorato? GS: È stata una scelta naturale, mi è sempre piaciuto molto il suono della chitarra acustica strumming usata come contrappunto sonoro all'hi-hat, mi piace gestire nel mix l'equilibrio tra questi due suoni molto simili (in termini di gamma di frequenza) inoltre lavorando con un "cantautore con la chitarra" parto sempre dal presupposto che "l'acustica ci deve stare". I miei riferimenti sonori quando lavoro a progetti di questo tipo sono i REM, Tom Petty, Dylan, Springsteen, Mellencamp e Tom Waits, tutti artisti che sono sempre riusciti a produrre un perfetto incastro tra acustiche ed elettriche.
R: Il tuo blues style la fa da padrone, ma qui e là nell’album ci sono delle chitarre con delay e ritmiche pop-rock (pensiamo più a U2 che a SRV) più che bluesy. Come le hai realizzate, ma soprattutto a chi ti ispiri per questo genere di sound? GS: Ho sempre amato i chitarristi diretti, senza troppi fronzoli, i miei chitarristi preferiti sono sempre stati Jimi, SRV, Clapton, Page e George Harrison.
Però ho sempre considerato il delay un potente strumento di arrangiamento nella musica moderna, i chitarristi che meglio hanno imparato a sfruttarne le possibilità sono quelli che hanno lasciato un segno fondamentale nella musica degli ultimi 40 anni, e quindi inevitabilmente dico: Gilmour, The Edge e Andy Summers. Ho usato soprattutto lo Strymon Timeline, un T-Rex Replica e un po' di plug-in (su tutti il Sound Toys EchoBoy).
R: Come hai registrato le chitarre? In diretta, reamping, solo ampli, o anche pedali? GS: Le acustiche sono microfonate a turno con AKG, Neuman e Sennheiser.
Per le elettriche ho usato una testata Mezzabarba Mzero Overdrive di cui vado fiero, il migliore ampli sul mercato. Poi una Mark V e una Mark IV Mesa Boogie, quasi sempre in una 4x12 Marshall originale del 1969 con Greenback microfonata con SM57 e 421.
Pedali pochi: un po' di Tube Screamer, un Overbox III di Night Angels e un Cry Baby. Tutto cablato con cavi Reference Laboratory.
Lavorando molto con i plug-in in pre-produzione, sulle versioni definitive è rimasta anche qualche traccia di chitarra dei provini che piaceva a tutti, e quindi ogni tanto si sente anche un IK Multimedia AmpliTube registrato in treno, in macchina o in qualche stanza d'albergo.
R: Lavori da molti anni con Edoardo Bennato, che è sicuramente un personaggio dalla spiccata personalità. Quanto di Bennato è entrato nel tuo stile e in qualche modo ti condiziona nello scrivere le chitarre? GS: Lavoro con Edoardo da quasi vent'anni, ho cominciato che ero molto giovane, e quindi sono cresciuto molto musicalmente al suo fianco, ma lui, come molti artisti davvero grandi, lascia anche tanto spazio ai suoi musicisti, anzi si circonda di persone che gli possano dare qualcosa dal punto di vista sia musicale sia sonoro. Negli anni che abbiamo trascorso sullo stesso palco è cambiato molto il suo suono, e io, in piena libertà, sono riuscito a influenzare molto il suo sound. Abbiamo molti punti in comune, e i nostri riferimenti sonori del passato e del presente in ambito rock e blues spesso coincidono.
R: Quali sono le cose su cui ti sei plasmato e quali pensi siano invece i tratti più originali che avete costruito insieme? GS: Più che plasmato, posso dire che ci sono tante cose che Edoardo mi ha insegnato, una su tutte è quella di non accontentarsi mai e non fermarsi alla prima versione, rimettersi in gioco e nel caso ricominciare da zero.
In fase di arrangiamento di un brano è fondamentale conservare sempre un dubbio, e nel caso ripartire da capo. Nel disco c'è un brano di cui abbiamo fatto forse cinquanta versioni diverse, in varie tonalità, con stili lontanissimi tra loro, a svariati bpm, col testo che cambiava di continuo, di cui ho stravolto l'armonia, e quindi in definitiva il confronto può, se costruttivo, essere sempre l'arma vincente.
R: Sei un chitarrista molto attivo. Secondo te quanto spazio c’è per la chitarra rock in Italia? GS: D'istinto ti risponderei subito che non ce n'è tantissimo. La musica è cambiata molto negli ultimi anni, le radio si sono uniformate in base a dei canoni stilistici assurdi, che alla fine hanno intimorito anche le case discografiche, i produttori e i musicisti stessi.
Si dice che gli assolo di chitarra non funzionano più, parti strumentali troppo lunghe sono da evitare, nel mix la voce del cantante deve essere molto fuori e in generale si tende a soddisfare questo tipo di indicazioni.
Però, nonostante il cambiamento di stili e mode nella musica, la chitarra elettrica ricopre ancora oggi un ruolo primario nel musica, e ognuno di noi può provare a invertire questa tendenza.
Dalle produzioni indipendenti fino ai live sui grandi palchi, lo spazio per una nuova guitar era c'è, lo vedo dall'interesse che c'è sempre intorno a questo mondo. È un continuo proliferare di scuole di musica, sale prova, laboratori di liuteria e siti web dedicati all'argomento.
La chitarra rock rimane tutt'oggi lo strumento più affascinante che ci sia, è uno di quelli in cui c'è ancora tanto da dire e da sperimentare, passando dalle scuole di musica ai canali YouTube, dai palchi nelle birrerie alle radio web, dagli home studio recording fino al miraggio della TV.
Vedremo come andrà a finire, intanto diamoci da fare!
Io cerco di fare il massimo andando in giro come posso, soprattutto con la mia band, gli Hillside Power Trio. Credo che, nonostante mille difficoltà, il live rimanga comunque la versione più autentica ed efficace per proporre musica e fare appassionare la gente.
R: Segui la scena strumentale italiana? Hai mai pensato a un disco solista magari proprio strumentale? GS: Ho tantissimi amici tra i migliori chitarristi italiani, inoltre dal 2003 faccio parte del progetto “La Notte delle Chitarre” (due dischi all'attivo e un terzo in uscita nei prossimi mesi).
Il nostro paese può vantare dei chitarristi sopraffini, ho avuto la fortuna di suonare spesso con Maurizio Solieri, Ricky Portera, Luca Colombo, Max Cottafavi, Mario Schilirò, Stef Burns, Alberto Radius, Finaz, Mesolella ecc. Ho grande rispetto e stima per i miei colleghi, c'è da imparare da ognuno, e con alcuni di essi mi lega una grande amicizia. Nell'ultimo anno, quasi per gioco, io e Giacomo Castellano abbiamo messo su una band in cui io canto e suono la chitarra con lui, stiamo girando come dei matti divertendoci da morire, chissà che non nasca proprio da questo progetto un disco nel prossimo futuro, lui è davvero uno dei migliori musicisti che abbiamo in Italia.
In generale, quando penso a un mio lavoro non penso mai a un disco strumentale, penso sempre a un disco di canzoni dove la chitarra costruisce l'architettura sonora dei brani, ma che non sia l'unica protagonista, altrimenti chi ascolta si annoia. |