Ditemi la verità, voi si, voi nati negli anni 80’, ma quanto vi manca il decennio dei 90’? Non è una questione legata al fatto di esser retrogradi, né tanto meno sono i periodi bui nei quali brancoliamo con l’inizio del nuovo millennio che mi spingono a fare una considerazione del genere, no è molto di più, o forse molto di meno. Un attimo di perplessità, pausa, “cosa avrà voluto dire?”. Ed ora vi spiego dove voglio andare a parare.
E’ parecchio tempo che, parlando con amici, conoscenti ed altri appassionati di musica, rock, in molte sue sfaccettature, noto una certa nostalgia per i tempi andati. E già, perché se nel decennio di Clinton, Micheal Jordan e le Dr Martin’s ti avvicinavi a questo mondo diventavi parte di una tribù. Sempre lì a scambiarsi riviste, album in formato cassetta o cd, ad andare alla ricerca ovunque fossi di un negozio di roba musicale, finanche impallarti davanti ai poster nell’unico scaffale dedicato dei supermercati. Ora francamente, dall’alto dei miei 28 anni e dopo aver trascorso un po’ di tempo con le nuove leve, posso affermare che parecchie delle peculiarità che c’erano sono scomparse. Se da un lato internet, Napster, Emule, Ac++ ed i vari peer-to-peer hanno ampliato enormemente la possibilità di ascoltare roba, che prima non avrebbe varcato i confini del quartiere in cui si trovava parcheggiato il furgone della band, che l’aveva registrata, oggi non si da praticamente quasi nessun valore a ciò che si ascolta. Ma quant’era bello per un quindicenne del 98’ metter da parte i soldi delle paghette settimanali, andare in negozio o fare un ordine dalla rivista, che arrivava puntuale a casa ogni mese, e, una volta al chiuso della propria stanza, organizzare quasi una cerimonia per il primo ascolto? Me lo ricordo come se fosse ieri, si stava bene attenti a non rovinare la custodia, in modo quasi maniacale si estraeva l’opuscolo con le foto, i testi, le info su chiunque avesse lavorato a quella meraviglia, neanche ci fosse qualcuno che il giorno dopo ti avrebbe interrogato. E poi si passava in rassegna la lista delle canzoni, ma quell’ascolto, proprio perché accompagnato da un’attesa, un piccolo sacrificio, il quasi totale oblio su come fossero le tracce alternative a quella di lancio, aveva molto molto senso. E me ne rendo conto io stesso confrontando il mio approccio alla musica oggi: infatti adesso mi capita di leggere da qualche parte un nome e senza nemmeno pensarci scaricare l’intera discografia, per poi lasciarla lì nel dimenticatoio per un po’, perché nel frattempo non ho ancora smaltito il materiale di Natale di due anni fa. In più, diciamoci la verità, per quanto feticista possa essere in termini di amore per i cd originali, non me ne vogliano gli amanti dei vinili, che adoro anch’io, ma sono nato nell’hi-fi, tante volte un po’ per noia un po’ perché 30€ non sono pochi, ammetto di aver perso l’abitudine di entrare nei negozi a controllar gli ultimi arrivi.
E poi cavolo, non che adesso non ci sia roba nuova decente (lo scrivo ma in realtà penso tutt’altro), ma abbiamo assistito alla fine dell’ultima vera band hard rock, anche se Slash è tuttora in evoluzione costantemente accelerata, alle ultime battute del metal, quello tosto, incazzato, che non necessitava di eccessi da prima donna per far notizia. Francamente chi amava i Testament e gli Slayer dai Linkin Park in poi è rimasto a bocca asciutta. Personalmente ho capito che era finita quando ho visto i Methods of Mayem al Gods of Metal e , senza appoggiare già all’epoca la violenta pioggia di bottiglie che si abbattè sul gruppo, realizzai che il vento era cambiato.
Aspetto positivo del cambiamento dei tempi e dell’aumento del numero di anni sulle spalle? Di certo, abbandonato il mio genere preferito, sperimentazione in varie direzioni, sino all’approdo al Blues. Eh si, perché alla fine è li che ci si ferma prima o poi, per non andar via mai più, quasi certamente. Fine della storia.