Ieri sera mi trovavo a Vasto per seguire la prima serata del New Acoustic Music Festival, sono venti anni che esiste e che io lo seguo con assiduità. Sui suoi palchi si sono esibiti fior di chitarristi e, da alcuni anni, la prima serata è aperta da un musicista locale, possibilmente giovane. Ieri è stato il turno di Francesco Valente, un giovinastro di sedici anni che con grande sfrontatezza ha saputo tenere il palco e garantirsi l’attenzione del pubblico, dimostrando una buona tecnica chitarristica che gli ha permesso di confrontarsi senza paura con brani di Michael Hedges e Antoine Dufour, maltrattando la sua chitarra secondo le vigenti regole della fingercussion. Così ho pensato ad un sedicenne con la voglia di diventare un chitarrista, davanti al suo pc, con un oceano di tablature, di audio, video e lezioni didattiche, tutto preso a riprodurre i brani dei suoi miti della CandyRat con un occhio allo spartito ed uno al monitor. Poi ho pensato a me, a quando avevo sedici anni e perso fra le montagne del Matese, con una sola radiolina a onde medie a tenermi in collegamento con il mondo, sentivo Riccardo Bertoncelli che mi introduceva ai brani di uno sconosciuto, tale Leo Kottke (Carneade? Chi era costui?). E alla fatica che ci è voluta per recuperare “Greenhouse” di importazione, perchè in Italia quei dischi non si trovavano, comunicando via lettera perchè le interurbane costavano e aspettando tempi biblici per la consegna da parte delle poste. E ai pomeriggi passati davanti ad un mangianastri, avanti e indietro, con la chitarra in mano, per cercare di identificare un accordo o un arpeggio (a tutt’oggi non so in che accordatura è suonata “Owls”). Di sicuro il ragazzotto è adesso immensamente più bravo di me sia rispetto ad allora che adesso. Ma di sicuro la vita di un chitarrista sedicenne del 2012 è molto più facile di quella mia di tanti anni fa. O no?
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