Il Reverendo Jim Heat non passa spesso per il nostro Paese. Una sua visita in Italia, soprattutto quando si riesce a stare a stretto contatto con lui un'intera giornata sopra e fuori dal palco, è l'occasione ideale per strappargli un'intervista.
Lo scorso fine giugno ho avuto l'onore e il piacere di partecipare (come musicista e come membro dell'organizzazione) alla prima e unica data italiana dello storico trio texano capitanato da Jim Heat: i Reverend Horton Heat. Questo eccezionale combo, orgoglioso di provenire dallo Stato della stella solitaria (Stato a cui dobbiamo tantissimo per ciò che riguarda la musica... in tutti i generi) è attivo dal 1985 e ha, con il tempo, raffinato uno stile tutto suo che fonde il tradizionale rockabilly col punk, col country, col rock granitico e di matrice sudista senza scordare il surf e qualche capatina nella musica tex-mex.Devo ammetterlo, li adoro! Le loro canzoni sono sempre un pugno allo stomaco, mai scontate, sempre fresche e trascinanti. La voce di Jim Heat è pungente e i testi sono ironici e carichi di verità esposte in maniera goliardica ma drammaticamente vera. La sua "Galaxy 500" affronta il tema del divorzio in maniera scanzonata, nonostante i disagi enormi del "post vita matrimoniale". La ritmica (sorretta da Jimbo al contrabbasso e Scott Churilla alla batteria) è mostruosa! E poi la chitarra... che dire, il "reverendo" Jim Heat, pur non essendo un virtuoso o un innovatore, ha uno stile riconoscibilissimo e sempre azzeccato. Sconvolge quando usa frasi di estrazione "country" all'interno di un veloce e nervoso psychobilly e quando gioca con gli armonici per costruire frasi complesse (modulandole col vibrato della sua Gretsch signature) lascia a bocca aperta. Pesta come un dannato il plettro sulle corde, mentre il resto del corpo (in una elegante mise da vecchio cantante country) sembra slegato dalle sue mani, mantenendo un decoro che ti aspetti da un attempato crooner, e il sorriso sulle sue labbra non accenna mai a svanire. Il loro show verte sulle loro composizioni originali o su alcuni dovuti tributi al rock and roll. Durante lo show ad Atessa, al Custom Party, hanno eseguito un tributo all'87enne Chuck Berry e una dissacrante versione di quella che è considerata la prima canzone rock and roll della storia, ossia "Rock this joint", dal repertorio di Bill Haley and the Comets dove, e non posso mascherare l'emozione, mi hanno invitato sul palco per duettare. Vi giuro che quasi quasi mi tremavano le ginocchia. Avendo io stesso fatto da tramite tra gli organizzatori e il managment americano, è toccato a me accoglierli al loro arrivo, occuparmi della strumentazione e, sopratutto, stare a contatto con loro. Grande emozione ma anche grande responsabilità: il rider tecnico era gigantesco, le esigenze onstage, a detta dell'agenzia, enormi, e le richieste "mangerecce" irrealizzabili. Però, appena arrivati in hotel e assaporato la cucina abruzzese, rider e richieste assurde sono miracolosamente evaporate, il clima si è disteso in maniera spiazzante, e sono diventati, tutti e cinque (band più road manager e fonico), i migliori amici di sempre!
La richiesta per gli ampli onstage era praticamente irrisolvibile: due ampli Gretsch, quelli nuovi per intenderci, ridisegnati dalla Victoria Amp. Onestamente non ne ho mai visto uno in giro, quindi non avrei saputo dove reperirli. Sul palco c'erano comunque un sacco di valide alternative: oltre al mio Bassman c'erano gli stack Fender di Nick Nitro (dei 59ers) e di Simone di Maggio (Astrophonix), eppure Jim Heat mi ha esplicitamente chiesto un "piccolo" Fender, un Deluxe 65 possibilmente. Fortunatamente Marco Gioè (dei Marilù) aveva con sé proprio quell'ampli. Mi sono chiesto come mai un chitarrista come il reverendo, abituato a suoni enormi, saturi e distorti, grossi come una betoniera carica di cemento, si potesse accontentare di 22 "miseri" watt, ma, una volta salito sul palco (e dopo aver rollato tutti i controlli, tranne il reverbero, al massimo) il "suo" suono eccolo uscire da quel piccoletto che quasi mi faceva pena in mezzo ai pezzi grossi. Volume e sostanza non mancavano. Un enorme palco è stato riempito dal suo sound, tanto da non volere assolutamente la sua chitarra nei monitor a terra o negli in-ear-monitor. La sua pedal board era ridotta all'essenziale: un booster, che forse non ha mai toccato, un delay Ibanez analogico, un accordatore e un pedale volume Ernie Ball, col quale emulava il suono di una pedal steel guitar. La sua chitarra, trasportata dentro un gigantesco flight case, era la sua storica Gretsch 6120DSW con gli humbucker FilterTron TVJones. Sul catalogo Gretsch questo strumento esce a suo nome, e non è da tutti avere uno strumento Gretsch signature! Le corde erano .010-.046 nuove (Ernie Ball se non erro) e i plettri personalizzati abbastanza duri. Poca roba, perfettamente funzionante e suono preciso e incisivo, senza fronzoli e orpelli che avrebbero snaturato il suo sound. Passare del tempo con Jim Heat è stato splendido. Ho sfoderato la mia migliore faccia di bronzo e gli ho scodellato una miriade di domande sulle sue esperienze, sulla sua formazione musicale, sui suoi progetti passati e futuri. Lui, avendoci preso gusto, ha cominciato a parlare a ruota libera elogiando l'Italia che stava scoprendo e gli italiani che stava conoscendo. Riporto, di seguito, degli estratti dalla nostra piacevolissima conversazione.
Diego: Jim cosa ci dici del prossimo disco dei Reverend Horton Heat, la cui uscita è programmata per gennaio del prossimo anno? Durante il sound check hai suonato due pezzi nuovi, suonano come i vecchi dischi dei RHH, vero (yeah)? Jim: il precedente disco era di orientamento country, mi era sembrata una mossa "normale" per un artista rockabilly. In genere tutti gli artisti di questo genere lo suonavano solo ed esclusivamente quando erano dei "ragazzetti", ma il loro obiettivo era entrare nelle charts della country music. Il nostro pubblico ama il "Reverend Horton Heat" sound, quindi il prossimo disco sarà quasi un ritorno alle origini.Diego: il tuo rapporto con l'Italia è stato sempre bizzarro, diversi concerti cancellati negli anni... eppure qui hai un sacco di seguaci, perché? Jim: abbiamo sempre avuto difficoltà con l'Italia! L'ultimo concerto cancellato (dicembre del 2011) in realtà era una completa bufala! Noi non ne sapevamo niente! Ed eravamo stupiti dall'enormità di richieste di informazioni riguardanti quello show! Colpa di alcuni promoter... non ti nego che siamo stati quasi sul punto di rifiutare altre proposte per venire a suonare in Italia! Meno male che tutto, adesso, è finito per il meglio! (la band, il giorno dopo il loro arrivo, ha pubblicato un messaggio ufficiale sulle loro pagine sui social network dove elogiavano l'accoglienza e il cibo e, il giorno dopo il concerto, scrivevano parole entusiaste su pubblico e tutto il resto. Belle soddisfazioni! nda) Diego: sono forse uno dei pochi che possiede una copia del tuo disco The Reverend Organdrum (trio dove il Reverendo Jim Heat suona la chitarra insieme a un hammondista e un batterista, senza basso, solo strumentali di stampo sixties jazz), cosa mi dici di quel progetto? Jim: eheheh... siamo tutti e tre vicini di casa! Un'idea nata quasi per gioco per passare, suonando, i tempi off tour. Ci riunivamo nei bar della zona con il solo obiettivo di passare qualche piacevole ora insieme. Il disco condensa quel repertorio e il mood di quel progetto. Tim Alexander (hammondista in questo progetto ma anche membro degli Asleep At The Wheel) ha suonato in parecchi dischi dei RHH, sopratutto su Revival , ed è un grande amico e un eccezionale artista.Diego: come mai sei passato dall'usare grossi ampli (come un Super Reverb silver face) a quelli più piccoli e meno potenti (Gretsch e Fender Deluxe appunto)? Jim: mi piace il suono che ne esce quando li spremi all'inverosimile. Ne adoro l'overdrive naturale e, una volta fatto l'orecchio a questo suono, non ne so fare a meno!Diego: sei uno degli artisti più attivi dal vivo. Come sopporti la vita on the road (i RHH sono stati capaci di tour di quasi 300 date all'anno in lungo e in largo per il mondo)? Jim: adesso siamo molto più calmi, limitandoci a fare lunghi tour inframmezzati da periodi di riposo a casa medio-lunghi. Prima stavamo veramente tutto l'anno sul nostro tour bus, costantemente in giro, facendo follie assurde! Però non rimpiango niente! Una volta andammo fino a New York partendo dal Texas (e sono più di 2000 km, nda) solo per fare una data, ma dopo quella ci si aprì letteralmente uno spicchio di America dove non riuscivamo a mettere piede nella maniera corretta! Il nostro lavoro è anche questo... ancora oggi raramente viaggiamo in aereo usando la strumentazione dell'organizzazione. Preferiamo nettamente stare in tour con tutto il nostro backline, che ci permette di avere sempre il nostro suono, piuttosto che scommettere ogni sera su come potrà andare (qui in Italia ci è andata benissimo!). Diego: cosa ne pensi dell'Italia? Jim: penso che dovrebbe tornare ad avere la sua moneta. Data l'enormità di risorse che possiede, potrebbe gestirle meglio con un suo sistema finanziario indipendente. Io penso che tutti gli Stati debbano essere indipendenti dagli altri (vale anche per il Texas) e avere il proprio conio.
Sono tante le cose che mi ha detto il "Reverendo". Molte non le ricordo, altre le tengo per me: si tratta di temi familiari e di gestione dei rapporti sociali che forse non è il caso di spiattellare in un articolo.
Sottolineo che non si tratta di una vera e propria intervista ma di un riassunto di alcune ore passate insieme a lui, ore senza prezzo che mi hanno riempito l'anima di gioia e soddisfatto una di quelle voci della lista di cose da fare prima di morire. Spero che il suo spirito e la sua carica riescano a emergere dalle mie parole. Stay rock, stay roll, viva il Reverendo!
Nota della Redazione: Accordo è un luogo che dà spazio alle idee di tutti, ma questo non implica la condivisione di ciò che viene scritto. Mettere a disposizione dei musicisti lo spazio per esprimersi può generare un confronto virtuoso di idee ed esperienza diverse, dando a tutti l'occasione per valutare meglio i temi trattati e costruirsi un'opinione autonoma. |