Il mondo della chitarra elettrica è piuttosto bizzarro e zeppo di contraddizioni.
La più evidente è la costante richiesta di qualcosa di diverso... a patto che sia uguale a quello che è considerato "standard" dagli anni ’50 in poi, con poche eccezioni di successo tra innumerevoli tentativi (molti dei quali di sicuro valore).
Sono pochissimi i marchi “diversi” che sono riusciti a competere e ad affermarsi in un mercato estremamente conservatore, prevenuto e fortemente condizionato dalla grafica riportata sulla paletta. Nella maggior parte dei casi le alternative sono invece relegate a realtà locali e artigianali, a volte di livello elevatissimo, conosciute da una ristretta cerchia di musicisti esigenti... e danarosi.
Ma non è sempre così.
La Gran Bretagna per esempio in campo musicale si è sempre distinta per una sorta di orgoglio nazionale - nel bene e nel male - che se all’inizio era motivato dalla necessità (le chitarre americane non arrivavano in Europa e le poche che riuscivano a varcare l’oceano avevano costi proibitivi), poi è diventato una scelta.
Alcuni marchi si sono affermati e si sono creati uno zoccolo duro di aficionados che ne hanno consentito la sopravvivenza (o la rinascita).
Uno dei marchi inglesi più affermati, anche se qui sostanzialmente sconosciuto, è senza dubbio Gordon Smith, che tutt’ora produce i suoi strumenti in Gran Bretagna.
Nato nella prima metà degli anni ’70, ha fornito gli attrezzi di base alla maggior parte delle band punk dell’isola ed è ancora oggi sul mercato.
La storia sembra quasi una favola.
Gordon Whitham e John Smith (praticamente il Mario Rossi inglese) si sono uniti nel 1974 per produrre strumenti elettrici basati sulla filosofia del “no nonsense”: strumenti da suonare, essenziali, robusti, efficienti, senza fronzoli e dal prezzo accessibile.
L’idea di base era creare uno strumento che facese una cosa e la facesse bene: la macchina da rock’n’roll.
E così nacque il modello GS1, il più noto e longevo, chiaramente ispirato alla Les Paul Junior: mogano (poi sostituito dal cedro brasiliano), double cut, un pickup, ponte wrap around e poco altro. Da subito, un capotasto in ottone che ancora oggi è una sorta di trademark.
Il sodalizio tra i due non durò a lungo e il progetto, pur mantenendo il doppio nome, fu portato avanti dalla famiglia Smith. Nel vero senso della parola, perché John reclutò il fratello Chris e la moglie Linda, a casa loro.
Quasi tutto veniva autocostruito, dalle bobine per i pickup (ricavate fondendo contenitori di yogurt e altre plastiche, oppure ritagliando il rivestimento di una vecchia roulotte) fino ai fantasiosi sistemi per aspirare segatura e vernici: roba che oggi si andrebbe in galera, ma erano altri tempi.
Non si buttava via niente.
Tra alti e bassi tutto è andato avanti fino al 2015, quando l’età del pensionamento è arrivata e l’azienda è stata rilevata e rilanciata da Auden Guitars, che ne continua la tradizione apportando qualche innovazione dal punto di vista tecnologico. Per esempio dopo un tentativo iniziale la bobinatrice originale, non più affidabile, è stata sostituita da un macchinario più moderno, veloce e preciso.
Dal punto di vista qualitativo, nessun compromesso: non solo i corpi, ma anche i manici sono in pezzo unico, l’hardware è di qualità. La lavorazione è tuttora in gran parte manuale.
In fase di ordine il cliente può scegliere tutti i dettagli per personalizzare lo strumento, compreso il montaggio di pickup di qualsiasi marca.
Sfogliando le riviste inglesi, il nome Gordon Smith salta fuori spesso e i commenti sono sempre molto positivi.
Mi ha incuriosito, ma da noi sono quasi impossibili da trovare.
Finché un giorno il galeotto mercato dalle cui sirene tutti siamo ammaliati, alla “casuale” ricerca del nome Gordon, me la schaffa lì. Bella, praticamente nuova di zecca, con le plastiche protettive, scontrini, certificati... insomma, nuova. E per un prezzo che non si poteva rifiutare. Complice la contemporanea vendita di una chitarra, l’ho presa senza pensarci due volte. In pochi giorni è arrivata, perfettamente imballata e protetta ulteriormente dalla sua magnifica custodia.
Il modello , che è il motivo di questo articolo, è di produzione recente e vuole essere una sorta di celebrazione, in una veste un po’ più ricca, dello storico modello.
A parte la forma e la scala (Gibson) che rimangono invariate, ci sono alcune differenze che lo rendono uno strumento peculiare.
Prima di tutto, lo spessore del body: mentre nella G1 è solitamente di 38mm, qui diventa di 44mm.
Il body è un pezzo unico di cedro brasiliano.
Il manico, dalla sezione tondeggiante molto simile al profilo Gibson ’50 (ma disponibile anche in altre misure) è anch’esso in pezzo unico, compresi tacco e paletta, in mogano. La tastiera è in palissandro.
Body, tastiera e paletta sono impreziositi da un originale binding tartarugato dall’effetto sobrio e gradevolissimo.
Il capotasto è immancabilmente in ottone, abbastanza sottile, lavorato a mano e fissato alla tastiera con due piccole viti. Completano il tutto le meccaniche, prive di marchio ma dal funzionamento preciso e regolare, 18:1.
Il ponte è un wrap around “evoluto”, un bellissimo Gotoh 510UB di ottima fattura, con sellette regolabili, solido e stabile.
L’elettronica è ovviamente piuttosto semplice, ma meno di quanto potrebbe sembrare.
Il singolo humbucker dal suono brillante, di produzione Gordon Smith, è splittabile tramite il potenziometro del volume (push-pull). Il controllo di tono ha un comportamento molto particolare, in quanto fino a 3/4 della corsa chiude le alte frequenze, come normalmente ci si aspetta, ma nell’ultimo quarto genera un curioso (e utile) effetto nasale molto simile al “cocked wah” (cioè quando si usa il wah tenendo il pedale a metà corsa).
La finitura - impeccabile su una lavorazione sostanzialmente perfetta - è a sua volta particolare: top e paletta verniciati in bianco lucido, mentre tutto il resto è rifinito con una sottile vernice trasparente opaca, così perfetta da sembrare un velluto. Alto livello.
La chitarra è abbastanza leggera, con una trascurabile tendenza a pesare in testa per via dell’attacco della tracolla alla base del manico. Molto comoda, l’accesso agli ultimi tasti è agevolissimo e in generale si suona senza alcuna fatica.
Il suono è un po' più brillante di quanto normalmente ci si aspetta da un humbucker. La possibilità di splittarlo mette a disposizione un suono non troppo diverso, ma più aperto e, ovviamente, meno potente: la differenza si avverte molto di più nelle sonorità clean.
I potenziometri scorrono perfettamente e consentono comode e precise regolazioni “al volo”.
Come al solito, chi pensa che un pickup solo possa essere un limite, dovrebbe provarne la versatilità.
La GS1000 è un po’ più “signora” della sorellina hooligan GS1, ma la sua anima da rockettara rimane intatta.
Sarebbe interessante provare la versione con il P90.
Per gli esempi sonori vi rimando a una valida prova della rivista Guitarist, dove si può anche valutare la comparazione con i modelli GS1 e GS2 De Luxe Heritage.
E, se vi piace, potete gustarvi una bella prova della storica coppia di Anderton’s.
Qui il dove, volendo, ci si può divertire a configurare completamente uno strumento su misura. |