Una storia che non c’entra niente con le chitarre. Inizio anni Ottanta. Ero fresco di laurea e abilitazione e nell’occasione un’anziana zia mi aveva regalato la mia prima borsa professionale. Una meraviglia di cuoio che dovette portarle via una parte considerevole della pensione. Nuova di zecca, splendida, lucidissima. Per un paio di giorni praticamente ci dormii.
Poche settimane dopo, un vecchietto del mio quartiere si beccò una bronchite e attraverso un passaparola di parenti, amici e conoscenti finì per richiedere il mio intervento. La mia prima visita domiciliare. Ci andai, feci la mia brava diagnosi e gli consegnai la prima ricetta della mia vita. Durante la visita, però, avevo notato come il paziente guardasse con particolare interesse la mia borsa nuova. Nella mia sprovveduta ingenuità avevo pensato che ne fosse ammirato, ma quando terminai di illustrargli la terapia, con un’espressione a metà tra l’ironico e il preoccupato, mi fulminò con un: “Ma lei è laureato da poco?”. Ricordo che cercai di abbozzare una risposta che non fosse troppo compromettente, raccolsi frettolosamente le mie cose e quel che restava della mia dignità e schizzai via come un missile, senza avere il coraggio di chiedergli l’onorario. Una volta a casa, cominciai a guardare la borsetta con odio. Sì, perché era lei, la maledetta, ad aver rivelato al vegliardo il mio atroce segreto. Era difficile ammettere anche solo davanti a me stesso come la mia scarsa esperienza si leggesse nel mio aspetto acerbo, nell’insicurezza professionale e insomma in ogni mio più piccolo gesto. No, doveva per forza essere la borsa. Beh, mi ci misi di impegno. Qualche piega, graffi e unghiate distribuite sapientemente e in dieci minuti la signorina mostrava almeno dieci anni di vita. Ora, almeno nel look, ero un medico vissuto. E di conseguenza un bravo medico.
Da allora avrò visitato decine di migliaia di persone. All’inizio continuavo a capirci poco o niente ma poi, lentamente, le cose cominciarono a girare per il verso giusto. Oggi i pazienti non mi guardano più la borsa. Credo guardino con sollievo soprattutto i miei capelli bianchi. Per la verità, a volte la borsa non la porto neanche più e il fonendoscopio me lo faccio prestare da qualcuno dei giovani con cui lavoro. E sorrido tra me notando come a volte sia nuovo di zecca.
Ma è una storia vecchia di trent’anni e non so neanche perché ve l’ho raccontata, visto che non c’entra niente con le chitarre. |