di redazione [user #116] - pubblicato il 17 maggio 2018 ore 15:30
Erik Donatini è un giovane e brillante bassista italiano che si sta facendo notare con la sua band i Jaspers, un eccentrico ensemble di musicisti pazzi e preparatissimi che scorrazzano coraggiosi tra i generi senza rinunciare a scrivere belle canzoni. Appena conclusa una lunga stagione televisiva, nella quale i Jaspers sono stati la band residente nella trasmissione "Quelli che il calcio", incontriamo Erik per parlare di basso, bassisti e suono.
I Red Hot Chili Peppers sono state tra le band che hanno acceso la tua passione per il basso e la musica. Cosa di loro ti ha particolarmente colpito?
Ero piccolo e ancora non sapevo cosa fosse un basso ma quelle frequenze mi conquistarono. I Red Hot Chili Peppers sono una vera band, di quelle a cui mi sono ispirato fin dall’inizio e con cui continuo a confrontarmi tutt’oggi. La storia che hanno scritto insieme è il sogno che sto cercando di realizzare con la mia band Jaspers e non smetterò mai di provarci, percorrendo la mia di strada e non pensando ad altro. Questa è la cosa che più mi ha colpito di loro, fare musica divertendosi, in maniera leggera senza prendersi troppo sul serio, pensando a trasmettere solo grande energia. Credo si possa affermare che è proprio il basso il loro elemento fondamentale, come anche per i Jamiroquai ad esempio, e proprio di quelle onde mi sono innamorato, suoni trascinanti che ti attaccano e non ti lasciano più.
Consideri Flea un tuo riferimento?
Flea in particolare è stato il primo a colpirmi per la sua energia, per la “pazzia” che traspariva durante le sue esibizioni, era sincero e scatenato, come mi sentivo io! E’ stato e sarà sempre un grande riferimento per me e continuo ad immaginarmi su grandi palchi come quelli che cavalca lui.
Il funk e rock paiono le coordinate musicali più salde del tuo linguaggio…
Esatto, mi sento proprio a metà tra questi due super generi; rock per la mia attitudine e la mia carica, funk per la voglia di emergere e per la natura del mio strumento. Il funk è da sempre un terreno fertile per i bassisti. Vedo proprio nello strumento del basso il punto di contatto più importante tra questi due generi.
Visto che parliamo di contaminazione tra generi, un bassista che ha portato il linguaggio del funk nel territorio più feroce e sperimentale del rock è stato Les Claypool, dei Primus. Se non sbaglio è un tra le tue influenze...
Les è avanti anni luce, non posso che nominarlo ogni volta che mi chiedono pareri o le mie influenze. Lo ascolto raramente, è uno stile davvero personale e originale. Non ho cercato in lui una figura da imitare, ma più un’idea da cui prendere ispirazione.
Anche nei Jaspers la voglia di giocare e contaminare tra loro i vari generi è determinante nella vostra estetica musicale. Qual è il tuo ruolo e il tuo apporto in questo lavoro di scrittura e arrangiamento?
Siamo in sei, tutti diversi ma uniti per lavorare allo stesso obiettivo. Il bello è riuscire a trovare le proporzioni giuste per mixare tutti gli ingredienti, come in una ricetta da finale di MasterChef! C’è chi porta atmosfere, ritmo, ballad, riff ed effetti speciali. Ogni volta la storia è diversa e unica. Il produttore artistico influisce molto nella scrittura e arrangiamento di un determinato brano. Proprio per questo bisogna giostrarsi tra gli accordi e trovare la linea di basso in grado di catturare l’ascoltatore e farlo muovere! Insomma, devo occuparmi io di voi, ecco qual è il mio ruolo! (risate)
Inizialmente ci si innamora delle note suonate dai propri eroi. Solo dopo un po' si inizia a prendere consapevolezza del loro suono, cercando di emularlo. Quali sono stati i bassisti che ti hanno influenzato di più nella ricerca del tuo suono?
Se parliamo di sound, ti rispondo subito con Tim Commerford dei Rage Against The Machine e Cass Lewis degli Skunk Anansie (nostro produttore artistico per i singoli Mastica e Mr. Melody). Una menzione particolare va a Juan Nelson, bassista storico di Ben Harper all’interno della formazione “The Innocent Criminals”, uno dei miei preferiti in assoluto in fatto di groove e linee di basso da sballo. Marcus Miller è il capo, ho sempre un occhio, anzi un orecchio puntato su di lui!
Ci racconti nel tempo come hai lavorato alla creazione di un tuo suono?
Tutti gli anni di studio al CPM Music Institute, sotto la guida di Dino D’Autorio, li ho affrontati con il basso collegato diretto nell’ampli e basta. Il primo pensiero di un bassista deve essere sul proprio sound interiore, quello che può tirare fuori da solo, perché il basso resta comunque l’anima della musica, le fondamenta, e come tale deve essere limpido e strutturale. Più della metà delle produzioni dei Jaspers, infatti, le realizzo con il suono clean. Una volta raggiunta questa capacità ci si può avventurare per trovare colori, forme ed effetti che portino un valore aggiunto al proprio sound. Sono arrivato così a scoprire il distortion e fuzzDophix (brand italiano di effetti a pedale, di cui sono endorser), SansAmp, octaver e altri ancora. Ogni effetto va provato, riprovato e soprattutto controllato, il basso è davvero uno strumento importante e delicato, va curato bene se non si vogliono far danni.
Assodato che un grande suono parte dalle mani di un musicista, in che percentuale di importanza - a seguire - stanno basso, ampli ed effetti nella creazione del tuo suono?
Per me basso e ampli devono avere la stessa importanza. Il mio suono pulito e principale è di base leggermente aggressivo e compresso grazie alla testata valvolare Ampeg SVT-CL. Gli effetti li considero come colori, da usare a piacere quando servono o quando soprattutto ne ho la possibilità. Bisogna sempre guardare sopra di noi cosa succede e non fare l’errore di voler occupare troppo spazio. Quindi per me è 50% basso e 50% ampli, tutto incide nella catena quindi tutto deve essere in equilibrio. Dai tutto al basso, tralascia l’ampli e non uscirà comunque al top il suono del basso. Dai tutto all’ampli e meno al basso e sarà debole la sorgente.
Cosa cerchi nel tuo basso ideale?
Il mio basso deve essermi cucito addosso come un vestito su misura, mi ci devo trovare bene in primis al tatto, perché è quello il punto d’incontro tra me e la musica. Devo sentire il controllo, devo fidarmi di lui e trovare uno strumento che alle prime note sia già come se fosse mio da anni. La sento subito questa cosa, perché è come se non avessi uno strumento ma un’estensione delle mie dita, come le bacchette per il sushi dei giapponesi. Da anni sto usando solo bassi attivi Lakland, principalmente per il sound che cerco: potente, definito e completo. Essendo attivo deve piacere la sua “pasta” perché è presente e si sente, se è quella giusta ci si trova subito d’accordo e si finisce ad usarlo flat, nonostante tutti i controlli a disposizione. Stessa cosa nell’ampli ad esempio, se è quello giusto si vede ad occhio nell’eq (non vale sempre come regola ma è sicuramente un ottimo punto di partenza per farsi un idea corretta).
Meglio un basso che faccia bene tutto o tanti bassi che facciano, ciascuno, benissimo una sola cosa?
Tutto dipende dalla necessità e da cosa viene richiesto. Per un session player è sicuramente meglio avere tanti bassi, ognuno a fuoco sulla propria peculiarità. Ammetto che ogni strumento ha pro e contro ma se si vuole un determinato sound ci vuole quel determinato basso, non si discute.
Un musicista che sta scrivendo la propria storia può decidere di affidarsi ad un solo strumento per trovare una costante tra le diverse produzioni discografiche, proprio per lasciare la propria firma e il proprio stile. Quest’ultimo è il mio caso, sono talmente concentrato sulla scrittura del brano e sulla realizzazione della migliore linea di basso che cambiare strumento mi distrarrebbe. Il mio strumento ed io siamo una cosa sola.
Ci descrivi il tuo basso e ci racconti come sei arrivato a sceglierlo?
Ci sono arrivato per caso, credetemi. Mosso da amici e insegnanti che mi dicevano “prendi quello… no prendi quell’altro”, ho percorso chilometri tra Milano e Ravenna fino ad arrivare in uno dei negozi storici di Bologna, dove ho trovato un basso lasciato in secondo piano, quello “con la polvere”. Guardo il marchio, che non conoscevo bene (nel 2009 era ancora poco diffuso in Italia), e decido comunque di provarlo. Suono la prima nota e sento a pelle che è lui! Non c’era storia, una spanna sopra tutti perché era come fosse già mio da anni. Laklandè un basso di qualità, con un bel corpo, meccaniche ed elettronica tra le migliori in commercio ma soprattutto con una pulizia del sound a livello Hi-Fi. L’aspetto più straordinario secondo me è nel manico, proprio per quella cosa di cui parlavo prima, sembra cucito addosso alla perfezione. Appena lo si imbraccia ci si trova come con il migliore amico, sai tutto di lui e lui sa tutto di te! :)
Dal 2015 sono endorser di questo marchio, grazie a Valentina e Backline che hanno creduto in me e mi hanno dato questa grande opportunità, non avrei potuto desiderare di meglio!