Non ho mai amato i necrologi, tutti seri e lagnosi. Quando muore qualcuno preferisco dedicargli un pensiero allegro e affettuoso, magari scherzoso. Ma triste no. Per questo voglio ricordare Stan Jay come lo conobbi nel 1984 a Staten Island, tra chitarre da sogno.
All'epoca avevo imposto alla Prima Signora Biraghi (allora neo-moglie) un viaggio di nozze basato quasi esclusivamente sulle mie passioni, in particolare le chitarre. Programma serratissimo, con attraversamento degli States da Est a Ovest alla scoperta di tutto quello che da noi non esisteva, ma di cui si intuivano a distanza gli straordinari profumi.
Quindi si atterrò a New York. Visita di rigore alla 48th strada (all'epoca era una cosa da sballo) in cui facevi casuali incontri mozzafiato (Rudy Pensa, Robert Quine, John Suhr, Norman Harris) e il giorno dopo il battello per Staten Island, con vista sulla statuona e sbarco a due passi da Mandolin Bros. di cui Stan Jay è stato per decenni fondatore, animatore e straordinario anfitrione.
Avere un appuntamento con Stan non era stato facile, perché lui all'epoca girava come un matto a caccia di tesori nascosti. Ma quel giorno si era detto disponibile, quindi venni accolto immediatamente nel suo ufficio con una tazza enorme di filter coffee. Ricordo un anfratto rigurgitante cataloghi, riviste, ponti, pezzi di legno, manici, battipenna, capotasti, plettri. L'odore di caffè si mescolava a quello del vecchio legno delle chitarre meravigliose appese nelle sale destinate alla vendita. Il giro cominciò dalla liuteria (roba da mille e una notte, in cui personaggi con chiome e abbigliamento incredibili maneggiavano in totale relax Martin e Gibson da sogno), proseguì nelle sale di vendita, dove Stan mi presentò il personale (tutti musicisti di gran classe) e parecchi clienti abituali, di quelli che passano ore a provare chitarre e prima o poi riescono a farsi assumere come commesso (succede solo negli States, non fatevi illusioni).
Qui mi fermai un bel po' a provare la roba "normale" (che comunque comprendeva chitarre meravigliose, vecchie e nuove, che da noi si vedevano solo se eri talmente ricco da poterti permettere l'abbonamento a Guitar Player). Finalmente la ciliegina, una stanza dei tesori, direttamente gestita da Stan, in cui erano esposte le chitarre più belle del mondo. Aprì la porta, fece un sorriso, disse "have fun" e mi mollò in paradiso. Lì per la prima volta nella mia vita misi le mani su: Broadcaster, Stratocaster 1958 fiesta red, Les Paul Standard 1959, Martin 00-45 pre-War, Gibson SJ-200, Gibson L5 Lloar, D'Angelico e D'Aquisto, National Duolian prima serie, lap steel Fender fine anni '40, ampli Tweed originali. Eccetera.
Tornò dopo un'oretta con altro caffè e una fetta di cheesecake, quindi depositai la D'Angelico su cui stavo sbrodolando saliva e mi misi a chiacchierare con lui del mercato, degli strumenti, delle mode, della musica, ma anche del vino italiano di cui aveva un grande rispetto. La simpatia, la semplicità e l'ospitalità di Stan - un uomo d'affari che seppe restare umano fino all'ultimo - restano tra i ricordi più belli della mia vita.
Ciao Stan!
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